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Unità Pastorale di Botticino

Le convivenze giovanili Stampa E-mail
Scritto da administrator   
Ormai è diventato un tormentone di molti parroci e di parecchi genitori: “I nostri giovani non si sposano più; preferiscono andare a convivere”, oppure, “prima vogliono provare, poi decideranno per il matrimonio”… Alcuni, poi, riescono a dire: “E’ meglio così, piuttosto che si separino poco dopo”.
Sembra che siamo di fronte ad un fenomeno nuovo e inarrestabile, verso il quale ci si può dividere solo tra coloro che accettano (bene o male) e quelli che rifiutano.
Per onore della storia, però, bisogna dire che di nuovo c’è un gran poco, se guardiamo solo al fatto personale di due persone che si uniscono senza vincolo coniugale. Semmai, la vera novità, sta nell’approvazione culturale e sociale, come pure nelle miopie giuridiche di alcuni politici.
Ritornando allo schierarsi pro o contro, penso sia opportuno percorrere un’altra via, basata sul discernimento evangelico e sulla passione di una Chiesa che non vuole perdere nessuno dei propri figli. Seguono, allora, alcune brevi riflessioni da un punto di vista pastorale, con l’unico scopo di ridare speranza e di favorire l’approfondimento delle molteplici situazioni di convivenze more uxorio tra i giovani.
E’ vero: non è la prima volta che affrontiamo l’argomento. Due anni fa, proprio l’Ufficio Famiglia, ha portato avanti una riflessione annuale culminata nel Simposio di giugno, animato da don Aristide Fumagalli. Tuttavia, è tanto l’appiattimento dei costumi, il numero in costante crescita e la povertà delle proposte, che diventa doveroso ritornare fortemente sull’argomento.
Proviamo, per un istante, a guardare le convivenze non tanto rispetto al matrimonio, ma così come sono, un unione temporanea di un uomo e una donna.
Bisogna, allora, mettersi in atteggiamento di ascolto…
Tra i vari messaggi che potremmo carpire, un grido spicca con drammatica forza: “Non possiamo fare a meno di amarci come se fossimo sposi, ma abbiamo paura di soffrire amandoci da sposi”.
In positivo, possiamo cogliere che i giovani non rinunciano ad amarsi e a mettersi insieme, magari diventando anche genitori. Non di meno, la qualità e il fondamento di questo amore sono condizionati, come limitati da una paura profonda; si tratta di essere spaventati del futuro, di non sopportare il dolore, di avere speranze troppo umane. In una parola: si è soli! Dico di quella solitudine che il passo biblico della Genesi (Gen 2) cita come “Non è bene che l’uomo sia solo…”; quindi, se è situazione mancante di bene, non viene da Dio e non fa parte del suo progetto finale.
Per questa paura si possono accettare legami di ricatto, condizioni di amore a buon mercato, interruzioni ingiuste, e la sindrome di Penelope (il buon tessuto del legame non è mai colmo, continuando un perpetuo farsi e disfarsi).
Senza una speranza grande, capace di vincere tutte le fobie esistenziali, l’essere umano cade nell’assurdo. Ad esempio, per il nostro argomento, si potrebbe dire: “Il miglior allenamento per donarsi totalmente è risparmiarsi; il modo per legarsi davvero è quello di essere pronti a slegarsi facilmente”. Quello che razionalmente appare così chiaro, nel turbine dei sentimenti è invece coperto da facili miraggi. Primo fra tutti: si può provare ad amare!
In questo mondo di legami di convivenza, bisogna comunque rilevare che in genere non si tratta di attacco ideologico al matrimonio. Anzi! Molti pensano sia la strada più adeguata per giungere proprio alle nozze. E’ il concetto di persona e di dignità umana ad essere confusi; sono i significati delle parole e dei gesti corporei ad essere fraintesi; è la fede a non essere criterio di vita, a non essere incarnata.
Allora, Un grande campo di evangelizzazione e di educazione si apre davanti alla Chiesa. Coraggio!
Siamo o non siamo popolo di Dio, buon seme e lievito, missionari dell’amore redentivo di Cristo?
Allora?!!!
Dove ci sono persone che fanno fatica ad amare, annunciamo il Dio di Amore; ascoltiamo le loro storie, per far emergere in esse la speranza del Divino Viandante; accogliamo come fratelli i giovani conviventi, per camminare insieme come figli verso il comune Padre misericordioso.
Non dimentichiamo, però, che prevenire è sempre meglio che curare: è nell’impostare ed intendere la vita come vocazione, che si annida lo scettro della vita piena e della vittoria contro ogni amore limitante.
Il nostro compito di cristiani, di animatori di pastorale familiare, è quello di annunciare con forza e coraggio Gesù Cristo e il suo amore gratuito; di ripetere instancabilmente che Egli eleva tutti e non fa paura a nessuno.

don Giorgio Comini,direttore Pastorale familiare Diocesi di Brescia

lettura indicata.
A.A.V.V., Pietro Boffi (a cura di), Convivenze e matrimonio cristiano, tra realismo e annuncio di fede, Ed. Paoline, Milano 2009.


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