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Unità Pastorale di Botticino

Un solo Pane, un solo Corpo Stampa E-mail
Scritto da Don Raffaele   

L’EUCARISTIA NELLA VITA DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Spunti per la vita coniugale dalla lettera pastorale

Ci sono tre passaggi della Lettera Pastorale che offrono alla vita degli sposi spunti di profonda riflessione:
 10 “L’eucaristia tende a questo, a trasformare la vita. Dobbiamo ricordarlo sempre perché non si pensi che l’eucaristia sia un rito chiuso in se stesso, da celebrare correttamente e con fervore, ma senza legami (o solo con legami estrinseci) con la vita […] Produce efficacemente un’esistenza donata ai fratelli […] La vita (di Gesù) genera il rito e il rito genera la vita (dei discepoli).
 28 “La vita che nasce dall’eucaristia è quella che si presenta come “vita spezzata” per diventare dono nell’amore che genera e fa vivere”.
 29 “Come entra l’eucaristia in tutto questo immenso sistema dell’esistenza umana? Entra perché l’eucaristia pone il dono di sé (pane spezzato e offerto) come suprema realizzazione della persona umana e quindi induce a costruire e custodire una precisa, caratteristica scala di valori; a sua volta la scala di valori determina le scelte concrete e i concreti comportamenti”
 Nel matrimonio il dono di sé è per la comunione, è per la cura del noi. Il dono sincero non mette alla prova, non sottopone l’altro ad un esperimento, né lo riduce ad un “oggetto per me”.
 Il dono è vero, quando cerca l’autentico bene della persona amata, quando si fa promessa di amare l’altro per se stesso. Il dono sincero di sé è aperto alla speranza dell’incontro con l’altro come il mio tu, è aperto alla reciprocità, ad un’intesa profonda che tocca l’interiorità, ad un’appartenersi senza catene, per essere uno restando due.
 Il dono è sincero solo se c’è la promozione dell’altro, esso richiede la capacità di attendere i suoi tempi e per noi la conversione continua del cuore, comporta parole meditate che suonino come balsamo, perché la lingua può ferire mortalmente. La tentazione di mettere noi stessi al centro della vita coniugale è sempre in agguato e non è facile metterla a fuoco e smascherarla. E’ possibile riuscirci solo nella fedeltà alla verità dell’uomo, donata da una Comunione originaria, da una Riconciliazione che precede ogni peccato1, alla quale acconsentiamo perché “per essere fedele, bisogna essere sé; per essere sé bisogna essere almeno due, e per essere pienamente sé, occorre che l’altro sia Dio”
 Se nel donarsi non c’è speranza e purezza di cuore rischiamo la delusione. Si comincia col sperimentarla rispetto a piccole cose, a piccole aspettative, che poi sembrano sempre più grandi e importanti finché la delusione riguarda il coniuge sotto ogni aspetto (e con lui anche noi stessi). Ogni sua piccola mancanza oscura tutta la sua persona. Quando lo sguardo sull’altro è questo non si attende più nulla, ci si ferma nel presente, un tempo nel quale il coniuge non può cambiare ed è ormai solo il debitore insolvente del contratto unilaterale stabilito con lui. Incatenato nel presente delle rivendicazioni personali il “noi”, come si dice, non ha futuro. E’ come se il rapporto coniugale fosse risucchiato e schiacciato dalla forza centrifuga del proprio egoismo, passando da “è bene che tu ci sia, perché nel tuo esserci c’è il senso del mondo” al “posso essere felice solo se tu non ci sei”.
 Sentendo che stiamo perdendo noi stessi cediamo alla tentazione che ci promette una vita compiuta anche senza amare il coniuge, e iniziamo a sottrarci al rischio che il dono di sé comporta, vogliamo salvarci senza donarci all’altro.
 L’amore non può essere fedele se non è volontà di amare. Amare significa rispettare la singolarità della persona amata, la sua incomunicabilità, la sua alterità, e la sincerità del dono si manifesta con un amore “intenzionale”, che persegue un fine, quello che l’altro possa esprimere tutto il suo valore personale, le sue risorse, tutte quelle potenzialità che solo noi intravediamo. Amare è impegnativo, la volontà di amare comporta sacrificio, non ha nulla a che vedere con l’esperimento fissato nell’oggi, perché il suo sguardo si perde nel futuro e anela all’eternità; amare “vuol dire donare la vita attraverso la morte, amare vuol dire sprigionare dalle profondità dell’anima l’acqua viva della sorgente, l’anima che brucia, arde senza fiamma, ma non riesce a ridursi in cenere”, per questo il perdere se stessi che l’amore esige è occasione di salvezza sia per l’amante che per l’amato.
 Il matrimonio è realizzazione di sé, esperienza di salvezza solo se è vissuto spendendo la propria vita, offrendo la propria carne. Nel matrimonio il guadagno dipende da quanto si è disposti a perdere, ma c’è anche chi si accontenta di essere in pareggio, di volere e ottenere solo qualcosa. E’ facile scivolare nell’utilità dei rapporti, nell’ottica che l’altro ci sia per facilitarci la vita, ma la sua identità è indisponibile, siamo chiamati a riconoscerla, promuoverla e custodirla, non a definirla o plasmarla a nostro piacere.

 

 

 

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