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Unità Pastorale di Botticino

Comunione nella parrocchia Stampa E-mail
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Comunione e corresponsabilità nella parrocchia e nell’Unità Pastorale


Il tema della comunione e della corresponsabilità si colloca sullo sfondo della rinnovata coscienza ecclesiologica conciliare e delle scelte che la Chiesa è andata compiendo nel suo recente cammino. Significativo appare, al riguardo, quanto si legge nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: La Chiesa è totalmente orientata alla comunione. Essa è e dev’essere sempre, come ricorda Giovanni Paolo II, «casa e scuola di comunione».
La Chiesa è casa, edificio, dimora ospitale che va costruita mediante l’educazione a una spiritualità di comunione. Questo significa far spazio costantemente al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Ma ciò è possibile solo se, consapevoli di essere peccatori perdonati, guardiamo a tutta la comunità come alla comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno. L’altro non sarà più un nemico, né un peccatore da cui separarmi, bensì «uno che mi appartiene». Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Insieme, saremo a poco a poco spinti ad allargare il cerchio di questa condivisione, a farci annunciatori della gioia e delle speranza che insieme abbiamo scoperto nelle nostre vite grazie al Verbo della vita.
Soltanto se sarà davvero «casa di comunione», resa salda dal Signore e dalla Parola della sua grazia, che ha il potere di edificare (cfr. At 20,32), la Chiesa potrà diventare anche «scuola di comunione». E’ importante che ciò avvenga: in ogni luogo le nostre comunità sono chiamate ad essere segni di unità, promotori di comunione, per additare umilmente ma con convinzione a tutti gli uomini la Gerusalemme celeste, che è al tempo stesso la loro «madre» (Gal 4,26) e la patria verso la quale sono incamminati. […]
Ma non dimentichiamo l’avvertimento di Giovanni Paolo II: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita». [n. 65]
Tutto questo rende consapevoli come sia necessario operare un profondo cambiamento di mentalità da parte di tutti, laici e preti, giovani e adulti, perché tutti si diventi «soggetti» della missione della Chiesa, più che i «destinatari» distratti di un’improbabile vita cristiana. E’ quindi necessario superare un certo «cristianesimo dei bisogni» per approdare ad un «cristianesimo delle responsabilità». Il primo, assai diffuso, è soddisfatto quando si è esaudito il proprio bisogno religioso (di amicizia, serenità, conforto, ritrovamento di sé e, perché no?, anche di Dio); il secondo comincia quando ci si accorge che non si può essere cristiani solo per se stessi, quando il pren dersi cura della fede e della vita degli altri non è un lusso per chi è disponibile, per il cristiano “impegnato”, per quello che ha tempo per la parrocchia. Un «cristianesimo della vocazione e della responsabilità» è quello che ha trovato che la vita cristiana è logicamente consequenziale ad una fede adulta e matura, capace di farsi carico della testimonianza che il Vangelo porta con sé.
La corresponsabilità è dunque capacità di rispondere insieme: gli uni agli altri e tutti al Signore e all’umanità, il Signore ha destinato la salvezza di cui la Chiesa è missionaria e portatrice. Per questo corresponsabilità significa capacità e disponibilità a collaborare, rispondendo da adulti di quel che la Chiesa ma soprattutto il Signore ci chiede. Implica di saper obbedire, guardando ogni cosa con un orizzonte più vasto della nostra visone personale. Implica la coscienza della grandezza di ciò che ci è affidato da compiere, che non sarà eseguito tanto meglio quanto più meccanica sarà l’esecuzione, ma quanto più le nostre capacità e i doni dello Spirito saranno giocati in pienezza nell’opera comune. Implica anche il coraggio di segnalare e di proporre, di obiettare e di dissentire, con coscienziosa umiltà e senza spezzare la comunione, perché questa si conservi non come conformismo, ma come obbedienza comune al Vangelo e alla missione.
Accanto al tema della comunione-corresponsabilità va considerato anche quello della parrocchia, come luogo privilegiato per l’esercizio di tale dimensione peculiare dell’esperienza cristiana oggi.
A tal proposito, torna utile il richiamo a quanto detto nel documento dei Vescovi italiani Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: La parrocchia è definita giustamente come «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». La parrocchia è una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. Con altre forme la Chiesa risponde a molte esigenze dell’evangelizzazione e della testimonianza: con la vita consacrata, con le attività di pastorale d’ambiente, con le aggregazioni ecclesiali. Ma è la parrocchia a rendere visibile la Chiesa come segno efficace dell’annuncio del Vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società. Scrive Giovanni Paolo II: la parrocchia è il «nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi».
La parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è «come una cellula», a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di nessuno, senza possibilità di elitarismo. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro c’è l’Eucaristia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. [n. 3]
La scelta privilegiata della parrocchia coincide dunque con la scelta del primato della pastorale ordinaria, che va intesa come cura della comunità e di tutte le persone, come attenzione a tutte le tappe dell’esistenza e alle diverse forme della vita cristiana. Tutto questo, tuttavia, non certo a prezzo di una banalizzazione degli obiettivi pastorali, quasi che nella pastorale ordinaria essi rimanessero generici e rinunciatari.
Possono essere tre le direttrici su cui è chiamata a viaggiare la parrocchia nel realizzare il suo peculiare servizio all’annuncio del Vangelo:
a) Una comunità che annuncia e celebra
La prima linea del cammino della pastorale parrocchiale va individuata nel suo essere una comunità che arriva e parte dall’Eucaristia. La comunione tra i credenti trova nell’Eucaristia la sua sorgente e la sua meta verso cui tutti sono invitati a tendere. La fraternità che si sviluppa nella costruzione delle relazioni sociali, favorite dal vivere sullo stesso territorio, viene vissuta in una maniera del tutto singolare da una comunità che si stringe attorno allo stesso altare.
b) Una comunità di credenti responsabili
Vissuta così, la comunità di altare permetterà di far crescere carismi e ministeri al servizio dell’unico annuncio del Vangelo. La maturazione della responsabilità ecclesiale, come si è già detto, è segno di una fede adulta e matura, che sa farsi carico del bonum Ecclesiae come valore da costruire con pazienza e tenacia.
c) Una comunità di missione
La circolarità tra comunione e missione è la grande legge della Chiesa e, dunque, anche della parrocchia. Questa è, in fondo, la scommessa della parrocchia del futuro: che essa realizzi meno un cristianesimo per sé e di più un cristianesimo che, proprio perché si fa carico degli altri, finisce per ritrovare la sua giusta dimensione.
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