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Unità Pastorale di Botticino

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Presiedere e consigliare nella comunità: i consigli parrocchiali


In questa fase di rinnovo degli organismi ecclesiali di partecipazione sia a livello di diocesi che di parrocchie è quanto mai opportuna una riflessione su tali organismi capace di sfuggire sia ad una celebrazione semplicemente retorica dei valori della partecipazione, della corresponsabilità, dell’impegno dei laici, sia a sfoghi di insoddisfazione e disagio per l’insignificanza e la scarsa vitalità degli organismi in questione. Alla luce soprattutto delle nuove norme diocesane che riguardano in particolare i Consigli, pare opportuno soffermare l’attenzione sui dinamismi ecclesiali che interessano questa singolare forma di partecipazione al discernimento e all’agire pastorale, prestando inoltre debita attenzione alle dinamiche concrete di conduzione, di guida, di qualità del lavoro che emergono nei Consigli.

A. I dinamismi della presidenza e del consiglio

La presidenza della comunità fa riferimento alla titolarità del parroco, che ha il compito di fungere da guida di tutte le attività della parrocchia, al fine di promuovere una comunione di vocazioni, ministeri e carismi, in vista della formulazione e realizzazione del progetto parrocchiale. All’interno dei Consigli Ecclesiali tale presidenza trova un momento di espressione del tutto singolare, dimostrandosi soprattutto capace di promuovere una sintesi armonica tra diverse posizioni. Il far convergere verso soluzioni mature nella comunione richiede nel parroco una capacità di guida che è fatta di ascolto, paziente accoglienza, disponibilità al confronto, lungimiranza e perseveranza. A delineare i tratti del corretto esercizio dell’autorità nella Chiesa valgono le esortazioni dell’apostolo Pietro: «Esorto gli anziani (presbiteri) che sono tra voi, quale anziano come loro [..]: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5, 1-3). Viceversa, la lettera agli Ebrei raccomanda: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi come chi ha da renderne conto; obbedite perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi» (Eb 13,17).
Il tema del consigliare richiama l’impegno dei battezzati a mettere al servizio della crescita comune il singolare dono del “consiglio”. Dono dello Spirito, il consiglio diventa momento peculiare per realizzare un corretto discernimento pastorale. Il discernimento pastorale (che cosa è meglio fare per vivere, qui ed oggi, il Vangelo) è un’operazione complessa, nel senso che essa non può che essere il frutto di molteplici decisioni. Una decisione pastorale può essere in questo senso considerata come il punto di arrivo di molti elementi, frutto soprattutto di una accurata capacità di discernere la realtà alla luce del Vangelo.

B. Metodologie e dinamiche di lavoro

Non sembra fuori luogo riconoscere come la sterilità e la scarsa incisività che interessa alcune esperienze di Consigli parrocchiali debba essere fatta risalire alla scarsa attenzione prestata alle dinamiche che presiedono alla comunicazione di gruppo e alle metodologie capaci di favorire una migliore qualità del lavoro pastorale. Solo in apparenza possono essere ritenuti ininfluenti sulla obiettiva vivacità e produttività di un CPP( o di Unità Pastorale) e di un CPAE, aspetti quali la scelta della sede dell’incontro capace di coinvolgere i partecipanti, la disposizione delle sedie, la suddivisone dei ruoli, il rispetto del tempo massimo a disposizione per i singoli interventi, la preoccupazione di favorire la partecipazione di tutti i membri, la capacità di arrivare a una delibera finale, ecc. Ciò non significa certo che la soluzione di ogni problema sia da ricercare solo sul piano delle tecniche e delle metodologie: il discorso investe più generalmente lo stile ecclesiale ed il clima fraterno che si produce all’interno dei Consigli parrocchiali.

C. La formazione di consiglieri

Il tema della formazione di consiglieri merita di essere affrontato all’interno dell’orizzonte più ampio dello sforzo a far crescere laici adulti nella fede e maturi nel sapersi assumere concrete responsabilità ecclesiali.
In questa linea, una robusta catechesi, l’attenzione alla crescita spirituale e lo stimolo ad una progressiva assunzione di compiti ed uffici nella vita della comunità costituiscono requisiti fondamentali per ricoprire il ruolo di membro del CPP ( o di Unità Pastorale) e del CPAE. Inoltre, è bene che ai membri dei vari Consigli venga offerta la possibilità di partecipare a giornate di ritiro e di studio, di confronto con testi del Magistero da approfondire singolarmente e comunitariamente, ecc.

D. L’informazione e il coinvolgimento della comunità

Quello della comunicazione costituisce un nodo cruciale e di non facile soluzione per l’attività dei Consigli Parrocchiali, non soltanto sotto il profilo delle dinamiche di lavoro all’interno dei Consigli, ma ugualmente in ordine al compito di informare e rendere partecipe la comunità della riflessione, della progettazione e delle decisioni adottate. Certamente, concorrono una svariata serie di ragioni a complicare una tale operazione (mancanza di tempo, scarsa organizzazione, esito negativo o insufficiente delle soluzioni prospettate, linguaggio o tematiche accessibili solo per addetti ai lavori, scarso interesse dei parrocchiani).
E’ ragionevole comunque rivedere che una breve sintesi dei lavori di ogni seduta del Consiglio Pastorale sia divulgata nelle forme opportune (es. mediante affissione in bacheca, pubblicazione sul bollettino parrocchiale, etc.) a tutti i parrocchiani, in particolare a quanti svolgono attività pastorale o fanno parte di gruppi ecclesiali. Lo stesso può valere, in forme e modi appropriati, anche per il CPAE.
 In ultima analisi resta la convinzione che il problema della comunicazione non può essere soltanto in senso unidirezionale (solo dai Consigli alla comunità), ma anche viceversa. La comunicazione non costituisce solo un fatto tecnico-organizzativo: il discorso investe la fisionomia della comunità, che in un clima di fraternità e di corresponsabilità, deve divenire luogo di condivisione, di discernimento e di comunicazione nella fede.

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